Questo articolo approfondisce i temi trattati in :
“Basta con la guerra dei Caprotti, non voglio paralizzare Esselunga”
Giuseppe Caprotti: cosa ho fatto e cosa farò dopo il deal con Esselunga. E con il fondo Venosta…
Premessa:
nei primi anni ’90, nella cucina di casa Caprotti, a Milano, mio padre ed io ci spartimmo i compiti aziendali : lui si sarebbe occupato dello sviluppo della società (reperimento aree, contatti con gli architetti, costruzione dei supermercati, permessi, appalti, manutenzioni, etc.) ed io della parte commerciale, che a lui non piaceva particolarmente.
Io divenni direttore commerciale nel 1996 ma negli anni precedenti mi occupai sempre di acquisti e di marketing, sia del non food che del cibo.
La rivoluzione dei superstore in Esselunga avvenne partendo dal mio soggiorno a Chicago, lavorando alla Dominick’s (1988- 1989). Si trattava di integrare l’offerta di cibo di Esselunga con non food e servizi (tra i quali spicca l’e-commerce).
Ma coinvolse anche il cibo in 5 modi :
1. grandi marche : inserimento o rafforzamento dell’offerta di grandi marche.
2. prodotti locali : grande attenzione a quelli toscani ma anche emiliani, piemontesi, lombardi.
3. reparti : frutta e verdura sfusa, creazione delle enoteche dello spazio dell’olio extra vergine nonchè dei bar. Allestimento di uno spazio (vasca) di formaggi e salumi già tagliati e preconfezionati davanti alla gastronomia di Esselunga
4. promozioni e spazi : miglior gestione e creazione di nuove avancasse.
5 rafforzamento del marchio privato
6. miglioramento della reddittività del food ( e dell’azienda).

1. grandi marche : quando entrai in Esselunga , nel 1986, Bernardo Caprotti aveva litigato da poco con Pietro Barilla sul prezzo che doveva avere la pasta Barilla sugli scaffali della grande distribuzione.
Pietro era convinto che gli ipermercati potessero venderla a un minor prezzo rispetto ai supermercati mentre Bernardo non era assolutamente d’accordo con l’amico – rivale Pietro.
E fù così che, nel 1984, tutto l’assortimento della Barilla, poco prima che io entrassi in azienda, era stato tolto dagli scaffali dell’Esselunga.
Le grandi marche , in generale, erano forti e molto arroganti – come Coca-Cola, ad esempio – perchè, in Italia, non se ne poteva fare a meno.
Oggi il loro peso nell’assortimento e nelle negoziazioni è sceso ma all’epoca “comandavano” loro.
Nel caso di Esselunga, erano considerate pericolose per alcuni prodotti fatti in casa, direttamente da Esselunga , in una sorta di “regime autarchico”, lasciatoci dai manager americani di Nelson Rockefeller:
pasta fresca ripiena, gelati, alcuni tipi di merendine, , pane in cassetta, caffè tostato e macinato da Esselunga (e rivenduto con marchio di fantasia).
Ne conseguiva che Rana, Algida, Barilla, Lavazza, ad esempio, non fossero marchi presenti nel nostro assortimento.
Anche il solo parlarne non era visto di buon occhio a Limito di Pioltello, sede di Esselunga.
Nonostante queste resistenze furono introdotti i prodotti Rana, il cornetto Algida, molti prodotti della Barilla, le buste di caffè della Lavazza – c’erano solo i costosissimi barattoli (*) – e il prosciutto Gran Biscotto Rovagnati (richiestissimo, a causa della pubblicità incessante).
Fui aiutato in questo lavoro da mia sorella Violetta che era molto ascoltata da nostro padre, Bernardo Caprotti.
Nell’assortimento entrarono anche altri prodotti innovativi come, ad esempio, il latte artificiale per neonati Nestlè e di altre marche (Nutricia, Milupa, Heinz, etc) o prodotti parafarmaceutici, come Aveeno.
E vitamine ed integratori, che non piacevano a Bernardo Caprotti , ma che Sergio Pelassa ed io decidemmo di inserire perchè li volevano i clienti ed erano molto redditizi.
(*) l’inserimento delle buste di caffè Lavazza contribuì alla chiusura degli impianti di torrefazione di Esselunga, decisa dal sottoscritto . Le altre concause furono : le sue piccole dimensioni, la qualità media del caffè e le oscillazioni delle quotazioni della materia prima (caffè crudo).

2. prodotti locali: quando arrivai alla filiale toscana di Esselunga, alla fine degli anni ’80, la Toscana era trattata come una “colonia” lombarda .
A ogni Natale, ad esempio, vi venivano mandati cibi che mai e poi mai i toscani si sarebbero sognati di mangiare : torrone, mostarda, panettone, vini lombardi e francesi, etc..
Ricordo perfino dolci natalizi valtellinesi e friulani che puntualmente venivano scontati ai primi di gennaio.
Il ragionier Giovanni Maggioni, vicepresidente di Esselunga, che era a capo della filiale, era convinto che si dovessero dare cibi locali ai toscani che li chiedevano e che la Unicoop aveva in assortimento.
I due protagonisti del localismo toscano furono Silvano Cis e Marino Fineschi, rispettivamente direttore acquisti carne latticini , salumi e gastronomia e direttore vendite (della filiale).
Furono loro , con la mia benedizione e quella di Maggioni, a introdurre tutta una serie di prodotti richiesti dalla clientela: carne chianina, vini, formaggi, salumi, piatti pronti, latte locale (Maremma), frutta e verdura (es.: fave per i toscani, cavoli per i cinesi di Prato) , etc.
Questa politica venne poi replicata dal sottoscritto in altre zone nuove, dove Esselunga si insediò negli anni ’90.
Fù così che vennero inserite la birra Menabrea e l’acqua Sant’Anna in Piemonte (Romeo Telli, buyer), Successivamente queste diventeranno marche nazionali . Ricordo però, perfettamente, che i proprietari della Menabrea , all’epoca, non volevano servirci…
Inserimmo poi tutta una serie di prodotti locali nei nuovi supermercati in apertura in Emilia Romagna: anolini ma anche tanti tipi di mortadella, di lambrusco, etc..

3.i reparti : frutta e verdura, enoteca, olio, bar ma anche salumi e formaggi
la frutta e verdura venne rivoluzionata praticamente subito, al mio ritorno da Chicago, andando io a stare, per un periodo, in Toscana : Esselunga aveva solo frutta e verdura confezionata all’epoca e i clienti si lamentavano perchè l’azienda non aveva un’offerta adeguata alla popolazione fiorentina.
Firenze era già nella silver economy : un quarto dei fiorentini aveva un’età superiore ai 65 anni .
I clienti trovavano la nostra frutta e verdura costosa (minimo 4 pezzi) perchè ne dovevano poi buttar via parecchia, una volta a casa.
Lavorando come cassiere dalla Dominick’s avevo gestito la frutta e verdura sfusa, così più comoda per il consumatore.
Maggioni , Fineschi ed io lottammo per inserire la frutta e verdura sfusa e, col tempo, riuscimmo a prevalere, partendo dal primo superstore aperto dalla catena, a via di Novoli a Firenze, nel 1989.
L’estensione di questa novità fù lenta poichè sia Bernardo Caprotti che Paolo De Gennis non la vedevano di buon occhio.
Ricordo che a un certo punto il direttore vendite dell’area Nord, Aldo Botta, che invece ne era un sostenitore, dovette procedere di nascosto… (e che quando De Gennis se ne accorse si arrabbiò moltissimo).
La frutta e verdura sfusa finì per pesare un terzo del fatturato del reparto.
Sergio Leogrande ci aiutò ad impostare le Enoteche.
Gli scaffali verdi esistevano di già (erano stati scelti da mio padre al grande magazzino KaDeWe di Berlino dove li avevamo visti insieme a fine anni ’80) ma nel Superstore di via Ripamonti furono aggiunti :
- ulteriori vini di alto livello,
- sommelier fissi
- etichette sullo scaffale con abbinamenti e regioni o stati di provenienza, un po’ come questa sotto della Coop Svizzera (con provenienza, vitigni utilizzati, caratteristiche e raccomandazioni di abbinamento).
Il dottor Gaetano Puglisi aggiunse al vino una sezione di olio extra vergine di pregio.
Un capitolo a parte meritano i bar: ne erano stati aperti due negli anni ’90 a Parma e a Sarezzo (BS) su mia iniziativa. Poi il “test” era stato stoppato (da Paolo De Gennis) per ripartire nei primi anni 2000.
Feci il progetto mio con l’idea di di creare dei cyber- bio bar.
La cosa non piacque a mio padre e nacquero i bar Atlantic, senza prodotti biologici e senza postazioni per collegarsi ad internet.
I bar verranno inseriti in tutti i centri con superstore.
I formaggi e i salumi confezionati davanti alle gastronomie vennero copiati da Carrefour Francia, in varie visite effettuate in Costa Azzurra, su stimolo del dottor Alessandro D’Este.
Questi formaggi e salumi già confezionati finirono per pesare un terzo del fatturato della gastronomia.
Sotto : il sottoscritto in un reparto, nella parte della frutta e verdura sfusa.
In Esselunga, al contrario della Dominick’s si pesava nel reparto – notare la bilancia, a destra – laddove nei superstore americani la pesata avveniva alle casse.

4. promozioni e avancasse
Tutti i settori food ( e non) vennero messi sotto controllo con i planogram in dieci anni di lavoro. Ma già a metà degli anni ’90 si riuscì a capire quale settore guadagnava veramente e quale no.
Il controllo valse ovviamente anche per le promozioni e per le avancasse che permisero di generare fatturati e utili aggiuntivi, facendo alzare le vendite al metro quadrato di Esselunga, che erano già tra le più alte in Europa all’inizio degli anni 2000.
Sotto: le vendite al metro quadrato di Esselunga nel 2002, seconde in Europa

5. rafforzamento del marchio privato : per il marchio privato venne adottato un piano ad hoc; tutti i buyer dovevano sottopormi una scheda che motivasse la creazione di un prodotto o di una linea.
Alcuni prodotti Esselunga vennero elaborati in famiglia, ma anche la linea Naturama.
Mentre Esselunga Bio venne elaborata con un’agenzia esterna (Giò Rossi).
(ma ci furono anche Per chi ama la natura e Esselunga Bio Equo solidale).

6. miglioramento della reddittività, del food e dell’azienda.
La reddittività praticamente raddoppiò, grazie anche ad una politica commerciale più aggressiva e alla centrale di acquisti Esd Italia, fondata dal sottoscritto con il ragionier Riccardo Francioni, procuratore generale di Selex.
Gran parte del lavoro commerciale venne svolto da Sergio Monsorno.
Vedi anche : “Il risultato operativo di Esselunga”
Prima stesura : 22 aprile. Ultimo aggiornamento 29 aprile 2020



