1 L’anno scorso riportavo questa notizia :
È boom della frutta esotica made in Italy: coltivazioni raddoppiate in meno di tre anni
Complice il cambiamento climatico, in molte regioni del Sud le aziende agricole hanno deciso di convertire la produzione a coltivazioni che fino a qualche anno fa arrivavano unicamente dalle regioni tropicali
3 agosto 2021
Un tempo arrivava solo dal Sudamerica, o dalle regioni tropicali di Africa e Asia. Ma adesso, con il cambiamento climatico (un’altra, ennesima prova che sfida i negazionisti più convinti), c’è un nuovo, inaspettato boom del made in Italy: quello della produzione di frutta esotica. Con le coltivazioni che in meno di tre anni sono raddoppiate superando i mille ettari fra Puglia, Sicilia e Calabria, per affrontare le nuove temperature causate dai cambiamenti climatici.
È quanto emerge dalla stima di Coldiretti sulle nuove produzioni tropicali in occasione dell’Avocado Day, che ricorre il 31 luglio in tutto il mondo. Di origine sudamericana, l’avocado è tra i frutti più in voga negli ultimi anni, simbolo della generazione dei Millennial, alla base di molte ricette, come la salsa guacamole, ma non è l’unico frutto tropicale che ha trovato “casa” in Italia.
«Sempre più spesso nelle regioni del Sud – sottolinea la Coldiretti – prima si sperimentano e poi si avviano vere e proprie coltivazioni di frutta originaria dell’Asia e dell’America Latina dalle banane ai mango, dall’avocado al lime, dal frutto della passione all’anona, dalla feijoa al casimiroa, dallo zapote nero fino al litchi, per un consumo totale stimato in oltre 900mila tonnellate a livello nazionale. Il tutto grazie all’impegno di giovani agricoltori – ricorda la Coldiretti – che hanno scelto questo tipo di coltivazione, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici, in precedenza destinati alla produzione di arance e limoni, con oltre sei italiani su 10 (61%) che acquisterebbero tropicali italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri», secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè.
Gli italiani vogliono la frutta esotica made in Italy
Il 71% dei cittadini sarebbe inoltre disposto a pagare di più per avere la garanzia dell’origine nazionale dei tropicali. Una scelta motivata dal maggiore grado di freschezza, ma anche dalle preoccupazioni sulle garanzie di sicurezza del prodotto importato. Quello della frutta tropicale made in Italy, sottolinea Coldiretti, è un fenomeno destinato a modificare in maniera profonda i comportamenti di consumo nei prossimi anni, ma anche le scelte produttive delle stesse aziende agricole, per gli effetti del surriscaldamento determinati dalle mutazioni del clima.
Temperature: 2,18 gradi oltre la media storica a giugno
Con una temperatura superiore di 2,18 gradi rispetto alla media storica, l’estate 2021 si classifica fino ad ora dal punto di vista climatologico come la quarta più calda in Italia da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1800, secondo l’elaborazione Coldiretti su dati Isac Cnr relativi al mese di giugno 2021. E «non è un fatto isolato ma strutturale in Italia, dove la classifica degli anni più caldi negli ultimi due secoli si concentra nell’ultimo periodo e comprende nell’ordine – precisa la Coldiretti – anche il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2003»…
La frutta tropicale, fino a qualche decennio fa acquistata in Italia in occasione delle feste natalizie, è diventata oggetto di consumo quotidiano

2 La tendenza è confermata nel 2022:
Avocado, mango, papaya e maracuja non devono più necessariamente attraversare l’oceano per raggiungere le nostre tavole. La produzione di frutta tropicale nel sud Italia e in particolare in Sicilia, ma anche in Calabria e in Puglia, sta crescendo in maniera esponenziale, mentre si riducono le coltivazioni di agrumi (-50% per i limoni e -30% per le arance). Non è però vero, come si sente dire, che la causa di questo boom sia da ricercare principalmente nel cambiamento climatico. A guardare bene le dinamiche commerciali, i motivi che spingono tanti agricoltori alla conversione dei terreni sono diversi e la crisi del clima può invece rappresentare un problema anche per la frutta tropicale.
La vera ‘molla’ del cambiamento è, come spesso accade, di tipo economico. In primo luogo bisogna chiarire che non ha senso rimpiangere le colture precedenti, erroneamente considerate autoctone. Infatti, nonostante le piante di agrumi siano oggi considerate un simbolo delle colture mediterranee, si tratta di frutta che arrivava originariamente da territori lontani (India ed Estremo Oriente). Negli ultimi anni, comunque, la loro coltivazione nelle regioni del sud Italia ha perso molto valore e numerosi agricoltori non riescono a competere con i prezzi dei colleghi turchi e spagnoli.
Nello stesso tempo, a causa della globalizzazione dei consumi, la frutta tropicale, fino a qualche decennio fa acquistata in Italia esclusivamente in occasione delle festività natalizie, è diventata sempre più oggetto di consumo quotidiano. A quest’attenzione per i nuovi ingredienti esotici si abbina però anche una preferenza per le produzioni locali che, non avendo percorso tanti chilometri ed essendo rimaste sulla pianta fino a completa maturazione, hanno un minor impatto ambientale e, al contempo, sono spesso migliori dal punto di vista organolettico. Per i prodotti coltivati in Italia, anche con metodi biologici, i consumatori sono quindi disposti a pagare un prezzo più alto rispetto alla frutta che ha attraversato l’oceano.
Nasce da qui la “febbre del mango”, ma anche dell’avocado e di tutti gli altri, che ha portato a una superficie coltivata nel nostro Paese intorno ai mille ettari, raddoppiando la produzione in meno di tre anni (dati Coldiretti), un boom, per un tipo di coltura che in Sicilia si sperimentava già nei lontani anni Sessanta. Un censimento vero e proprio dei terreni impiegati è difficile, visto il carattere sperimentale di molte colture. Mentre assistiamo alla nascita di numerosi impianti, molti sono quelli che muoiono. Le difficoltà, effettivamente, non mancano: si tratta infatti per la gran parte di coltivazioni che non resistono a temperature inferiori ai 4 gradi centigradi e che hanno bisogno di tanta acqua, soprattutto nei mesi più caldi.
Queste produzioni sono arrivate a soddisfare oggi solo il 5% della domanda nazionale. Il loro potenziale di crescita è notevole e non manca una forte domanda dal resto d’Europa. La redditività delle colture, inoltre, è fino a 15 volte superiore a quella delle arance e rende possibile l’investimento in soluzioni di precision farming, come le tecniche di irrigazione a goccia, molto importanti per affrontare condizioni climatiche avverse. Le zone che risultano a oggi maggiormente vocate sono quelle del messinese e dei monti Nebrodi, ma anche dell’Etna, si tratta infatti di territori particolarmenti ricchi di acqua. Si stanno però studiando le strategie per allargare le aree di coltivazione, mentre gli agricoltori più intraprendenti sperimentano nuove coltivazioni: dall’amato caffè, alla meno conosciuta moringa.
Foto: AdobeStock (tranne la cover)
Sotto : avocados in Sicilia (queste produzioni sono arrivate a soddisfare oggi solo il 5% della domanda nazionale. Il loro potenziale di crescita è notevole).



