Prima stesura del 2010. I fatti sono avvenuti tra il 1998 e il 2001.
Storia della denuncia e della vittoria di Esselunga all’Antitrust
Sono passati tanti anni ma sicuramente alcuni degli addetti ai lavori si ricordano la denuncia di Esselunga nei confronti della multinazionale di Atlanta, la sua condanna per abuso di posizione dominante ed il relativo pagamento di una multa di 30,6 miliardi di lire.
Prima di passare alla narrazione dei fatti bisogna fare una piccola premessa fondamentale per capire l’intera vicenda:
Nella GD esistono vari livelli di margine.
Le vendite meno il costo del venduto danno il primo margine (o margine lordo).
A quest’ultimo si sommano (*) poi i contributi promozionali che danno un secondo margine o margine lordo rettificato.
Facendo un esempio ipotetico, se le vendite sono pari a 1’000 e il costo del venduto è pari a 800 il primo margine risulterà pari a 200 (1’000 – 800).
Se i contributi dei fornitori sono pari a 100 il margine lordo rettificato sarà pari a 300 (primo margine pari a 200 + contributi pari a 100 = 30% sulle vendite).
Queste erano, più o meno, le proporzioni realistiche tra vendite e margini tra questi ultimi e i contributi, in Esselunga all’inizio degli anni 2000 (*) .
A tal proposito vedi anche “Dai Supermercati ai Superstore, parte 3” .
I contributi dei fornitori , grazie anche alla centrale ESD, erano saliti da 43,4 mio. di € (1994) a 379,2 mio. di €.
(*) nel 2019 la percentuale dei contributi – nel bilancio Esselunga – era superiore al 16%.

anno di competenza 2003 – fonte uf. acq. 2004, confermati dal presidente di Esselunga Vincenzo Mariconda a gennaio 2014, vedi Perchè io valgo? .
(*) a livello contabile, ad eccezione dei premi di fine anno.

Ma , operativamente, molte aziende della GD e alcuni fornitori detraevano i contributi dai listini, v. articolo di Ivo Ferrario per GDO Week sotto.
Nell’ottenimento di questi contributi Esselunga non era stata favorita dal suo isolamento.
Basti pensare che al momento della creazione di ESD, nel 2001, la stessa aveva scoperto discriminazioni dei fornitori a favore di Selex (ex A&O, partner di Esselunga in ESD) nell’ordine di svariate decine di miliardi.
I contributi promozionali, che facevano nella realtà parte del listino del fornitore al distributore, costituivano un’arma a doppio taglio:
il distributore, a scaffale (primo margine), di solito perdeva soldi vendendo sotto costo prodotti di marca.
Questo primo margine negativo veniva in parte controbilanciato dai contributi promozionali (secondo margine).
L’ industria di marca chiedeva, a fronte di questi soldi, delle contropartite (es.: degli spazi promozionali, delle operazioni di marketing, l’inserimento di prodotti nuovi etc.).
La GD era quindi ricattabile:
“ O mi dai degli spazi preferenziali oppure non ti do i soldi e vendi i miei prodotti sotto costo”.

In questo contesto, a giugno 1998 l’Autorità Antitrust italiana , su denuncia della Pepsi Cola, aveva aperto un’istruttoria contro Coca- Cola per abuso di posizione dominante.

Nell’autunno 1998 la direzione commerciale di Coca- Cola si presentò da noi, in Esselunga (io ero direttore commerciale e il dottor Gaetano Puglisi dirigeva gli acquisti della drogheria) con proposte che miravano ad occupare gli spazi dei concorrenti diretti:
i contributi, superiori ai 11 miliardi, ci sarebbero stati erogati se avessimo, ad esempio, aumentato gli spazi occupati dal marchio Fanta – di proprietà di Coca – Cola– del 25%.
Ciò significava dover penalizzare l’aranciata San Pellegrino. Questa logica veniva proposta anche nel segmento delle cole, dove Coca- Cola mirava a estromettere Pepsi dagli scaffali della GD (*).
I funzionari di Coca – Cola volevano inoltre piazzare le loro frigo vetrine un po’ ovunque o controllare i riordini e quindi gli stock dei loro prodotti nei supermercati Esselunga.

Va spiegato che all’epoca il 99% dei fornitori, in drogheria consegnava ai due magazzini di Esselunga, e Coca – Cola rappresentava una delle poche eccezioni.
Coca- Cola fino a quel momento, aveva ritirato e riconsegnato gli ordini nei punti di vendita e pretendeva continuare con questo metodo dove spesso riusciva a stockare più merce del dovuto, facendo leva sulla paura dei direttori dei negozi Esselunga di perdere vendite di Coca- Cola, un prodotto decisamente indispensabile per qualsiasi catena della GD.
Obbligammo quindi Coca- Cola a venire a consegnare al nostro magazzino di Limito e a quello dell’Osmannoro ma rimaneva aperta la questione dei contributi: o cedevamo al ricatto o ci aggregavamo alla denuncia di Pepsi.
(*) Coca- Cola lo aveva anche scritto, lasciando questo obiettivo nei files che vennero rinvenuti nel proprio server durante le perquisizioni ordinate dall’Antitrust.
Questo elemento eclatante venne fatto presente durante l’udienza presieduta da Giuseppe Tesauro e sicuramente contribuì alla sua condanna.

N.B. : all’udienza di fronte a Giuseppe Tesauro per Coca-Cola si presentò Alessandro D’Este, ex buyer Esselunga e futuro ad di Ferrero Italia, all’epoca dirigente di Coca-Cola, che fece di tutto per provocarmi…senza riuscirvi.
Comunque di solito le aziende con una quota di mercato così rilevante – nell’ordine dell’80 % – erano più discrete e tendevano a scrivere il meno possibile: ricordo che Gillette comunicava con noi solo oralmente.

A questo punto, il dottor Gaetano Puglisi, l’avvocato Piero Pellegatta ed io ci recammo dall’avvocato Aldo Frignani, specialista in questioni legate all’Antitrust, a Torino.
Quest’ultimo aveva già seguito l’istruttoria sugli sconti dei libri (Esselunga, attraverso Federdistribuzione, contro gli editori, capitanati dalla Mondadori, Mach 2 e Associazione Librai Italiani) risoltasi con successo nel 1995 davanti all’Antitrust presieduta allora da Giuliano Amato.
La riunione fu breve, ad un certo punto chiesi a Frignani quante probabilità avremmo avuto di vincere se avessimo denunciato Coca- Cola. L’avvocato mi rispose: “il 50%”.
Decisi di procedere e a fine novembre del 1998 denunciammo Coca- Cola.

Quando il 6 gennaio 1999 “The Wall Street Journal Europe” scrisse che Esselunga si era aggregata a Pepsi nell’istruttoria contro Coca – Cola anche mio padre diede qualche segnale di soddisfazione.

Eliminammo metà dell’assortimento di Coca – Cola, rinunciammo ai contributi e cominciammo a comprare Coca- Cola sul mercato parallelo, prevalentemente in Spagna, dove la bevanda costava di meno.
C’è da dire che Coca- Cola aveva fatto le cose “perbene”, legando diversi grossisti con delle condizioni di esclusiva che tendevano ad eliminare Pepsi dal mercato e ad aumentare i propri fatturati.
La Coca- Cola si trovava quindi un po’ dappertutto a dei prezzi molto competitivi.

Questo fatto ci permetteva di recuperare parte della marginalità e dei contributi persi con la rottura del contratto con Coca-Cola (v. articolo qui di seguito).

Nel grafico qui sopra si capisce molto bene il “gioco dei listini”:
se accettavamo le condizioni di Coca- Cola ottenevamo un prezzo molto più basso (85) del listino di partenza (100).
Questo “gioco” valeva anche per i prodotti nuovi: si partiva da 100 per poi detrarre i contributi d’inserimento.

Tutta la difesa di Coca- Cola davanti all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ruotava sull’assunto che il mercato rilevante non era quello delle cole consisteva nel mercato delle bevande in generale (comprendendo, ad esempio, l’acqua minerale).
In questo modo Coca- Cola sperava di “annacquare” la propria quota di mercato e non risultare dominante.
Fummo favoriti nel nostro attacco dal fatto che il 1999 fù un annus horribilis per Coca – Cola che, tra le tante cose, si ritrovò a dover ritirare 2 milioni di bottiglie in Belgio dove aveva intossicato 31 liceali.
L’evento fu paragonato alla crisi del pollo alla diossina e arrivò sul tavolo del G8 presieduto da Jacques Chirac e da Bill Clinton.

Tutta un’altra serie di traversie sui mercati internazionali fecero sì che “The Economist” il 24 aprile 1999, bollasse Doug Ivester, il Ceo di Coca – Cola come “arrogant”.

Giuseppe Tesauro, allora presidente dell’Autorità Garante, ad agosto inviava una lettera di addebiti che confermava l’abuso di posizione dominante:
Coca – Cola rischiava una multa pari al 10% del suo fatturato (150 miliardi di allora) se non avesse mutato il suo comportamento.
Ma il colosso di Atlanta che era già stato inquisito e diffidato per le stesse pratiche nel lontano 1989 non avrebbe mutato politica e atteggiamenti.

Infatti quell’estate aveva già lanciato una campagna molto forte di PR che mirava a tentare di lenire i danni di immagine di una possibile condanna.
Parecchi giornalisti italiani furono invitati con tutta la famiglia in vacanza negli Stati Uniti. Molti accettarono. Alcuni lo dichiararono anche pubblicamente.
Ma l’offensiva di Coca – Cola investì, con successo, anche l’Europa e gli Stati Uniti.
Da protagonista posso raccontare alcuni episodi molto interessanti:
1) il 14 agosto 1999 venni contattato da Deborah Ball del “The Wall Street Journal” per un’intervista.

Internamente ebbi l’autorizzazione di procedere solo a novembre. A quel punto la signora Ball mi fece l’intervista ma il 7 dicembre 1999, giorno in cui Coca- Cola venne definitivamente condannata a pagare la multa di 30,6 miliardi di lire comminata dall’Antitrust, il quotidiano non solo si rifiutò di pubblicarla ma non fece apparire neanche un trafiletto sulla vicenda e sparì definitivamente dai miei orizzonti.
2) la prestigiosa rivista francese LSA (“Libre Service Alimentaire”) non solo non diede alcuno spazio alla notizia della condanna di Coca-Cola, di cui non poteva non essere a conoscenza, ma decise di ospitare pubblicità della bevanda di Atlanta in copertina nei primi mesi del 2000.

Diciamo pure che la stampa, tranne alcune eccezioni, passò questa sentenza sotto silenzio.

Coca- Cola quell’anno decise di ricorrere al Tar del Lazio.
Il Tar confermò la condanna nel 2001.
Leggi anche Esselunga sconfigge Coca Cola
Non contenta delle continue sconfitte, Coca-Cola ricorse anche al Consiglio di Stato che respinse la sua istanza.

La bottiglietta ricordo regalatami da alcuni collaboratori, dopo la condanna di Coca- Cola

Nel frattempo, ad Atlanta, Ivester venne sostituito da Douglas Neville Daft (Ceo di Coca- Cola dal 200 al 2004- v. foto sotto, a destra con gli occhiali) che cercò di istillare un pò di umiltà ai suoi manager.

Daft, al contrario di Ivester, pensò bene di istaurare dei buoni rapporti con i vari clienti a cui Coca- Cola aveva pestato i piedi e, nell’estate del 2001, volle conoscermi e mi invitò a vedere l’Aida all’Arena di Verona.

Era una persona decisamente piacevole e ragionevole e i rapporti, tra Coca – Cola ed Esselunga, nel tempo, migliorarono decisamente.
A tal proposito è divertente notare nella lettera sottostante, che se il lupo aveva perso un po’ del suo pelo il vizio delle PR insistenti, condite di bei regali, gli era rimasto.

Traduzione:
“Caro Doug,
grazie mille per il tuo regalo, è molto bello.
Vorrei chiarire che ho accettato questo presente e il soggiorno a Verona la scorsa estate solo perchè le relazioni tra le nostre aziende sono molto delicate. Normalmente le nostre regole sono quelle di non accettare regali o altri favori (pagamenti di alberghi, ristoranti, etc.).
Sono certo che mi capirai e che questo non influenzerà le ns. relazioni.
Spero di rivederti molto presto con Delphine (*) e ti auguro il meglio
tuo
Giuseppe”
(*) sua moglie
Douglas Daft si ritirò poco tempo dopo e vari top manager ad Atlanta si alternarono sulla poltrona di CEO (a.d.).
Pur non lavorando più in Esselunga da quasi 6 anni, anche quest’anno ho ricevuto i loro auguri di Natale.

I simpatici orsi bianchi di Neville Isdell, successore di Douglas Daft, sono del 2008.
Il codice postale (zip code) 30313 è di una zona di Atlanta, Georgia.
Al di là degli auguri di Natale il risultato pratico di questa disputa è stata la nascita del marchio privato Esselunga nel segmento delle cole.
La cola Esselunga venne elaborata con il fornitore Cott


Sulle vicende riguardanti ESD e le negoziazioni con i fornitori vedi: Esselunga nella Centrale ESD, punto 4°: lo sviluppo e i risultati
Per approfondire l’argomento “contributi dei fornitori”, nonostante il titolo puoi leggere questo articolo o anche questo pezzo.



