30 anni fa ci volevano 4 kg. di alimenti per far crescere un kg. di maiale, oggi ce ne vogliono 3 kg.
Tutto ciò non può avvenire senza conseguenze, anche negative, ad esempio: ormai negli allevamenti si usano molti additivi e vitamine di sintesi provenienti dalla Cina > tra il 2004 e il 2005 5’000 allevamenti in Francia hanno avuto animali intossicati dal cadmio.
L’intero settore dei beni di consumo rappresenta un terzo del PIL mondiale (Fonte: Indicod Ecr Un anno di tendenze – 2011).
Il comparto ha quindi un impatto fortissimo, anche sull’ambiente.
Nel mondo della Frutta e Verdura tutti i frutti o i vegetali devono avere le stesse pezzature o calibrature per rientrare in diverse categorie che corrispondono a determinati prezzi (ciò avviene anche con la carne, es.: offerte sull’agnellone pasquale. Molte avevano praticamente lo stesso prezzo al kg.).
Nella distribuzione i clienti chiedono le cosiddette primizie, sempre più presto.
Sulla stagionalità della frutta e della verdura vedi anche: Frutta e verdura, il circolo vizioso delle primizie
Le ammaccature non sono permesse come non sono ammessi colori “strani” (es.: le patatine fritte non possono avere macchie nere..)
Il cosidetto trade spending (*) rappresenta il 22% del fatturato degli aderenti a Centromarca, aderente a Confindustria (fonte:Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, Milano il 18 giugno 2012) e le inefficienze sono enormi sul versante rapporti industria/distribuzione.
I fondi sprecati, in alternativa, potrebbero essere utilizzati per la ricerca e l’abbassamento degli inquinanti, che – lo ricordiamo – sono ovunque nei prodotti.
(*) ovverossia i soldi dati dall’industria alla distribuzione
I contributi sono ingenti: per Esselunga, ad esempio, possiamo stimarli a 850 mio. di €.
Questi soldi permettono all’Industria di occupare gli scaffali della distribuzione (tutti gli inserimenti di articoli nuovi sono soggetti a contributi) v. anche su “Esselunga contro Coca-Cola”
A volte questi fondi sono assolutamente scollegati a reali prestazioni della distribuzione (vedasi indagine conoscitiva dell’Antitrust, riportata da Il Sole 24 ore del 13 maggio 2011) e contribuiscono a far crescere i listini dell’Industria e i prezzi a scaffale della Distribuzione.
Ogni anno Industria e GD si scontrano nei rinnovi contrattuali. L’Industria sa già che la GD chiede diversi punti % di miglioramento contrattuale sul fatturato a scaffale.
Diamo un esempio pratico di quello che può avvenire: preventivando richieste di 2 punti %, l’Industria incrementa il listino di 3 punti% e concede 1 punto% alla GD tenendosi la differenza.
Presentazione di Giuseppe Caprotti in Centromarca, novembre 2003.
Per listini si intende prezzi dell’Industria alla GD, al lordo dei contributi promozionali. Di fatto, con una regolamentazione restrittiva, si potrebbero evitare sprechi ed inflazione.
Presentazione di Giuseppe Caprotti in Centromarca, giugno 2003.
Un’altra palla al piede dell’Industria, nei rapporti con la GD, riguarda i pagamenti, che hanno sempre rappresentato un costo, anche per i consumatori (il ragionamento sui contributi vale anche per i pagamenti).
Il governo Monti, sulla scia di quanto già fatto in Francia, si sta muovendo per accorciare questi tempi di pagamento (v. art. 62 decreto legge sulle liberalizzazioni del gennaio 2012 le cui linee attuattive dovrebbero essere rese note a luglio 2012).
Molto di questo cibo potrebbe servire per gli umani o per cibare gli animali. Di fatto ciò avviene molto poco.
Il downsizing, ben inquadrato da Caterina Pasolini di “la Repubblica”, può consistere nella sgrammatura del prodotto (calo peso) o nell’utilizzo di ingredienti meno pregiati per risparmiare.
Esso porta ad un abbassamento, poco percepibile da parte della massa dei consumatori, della qualità dei prodotti. Vedi anche “dal trading down al downsizing”
Nota: le svendite fuori stagione, di articoli stockati nei magazzini da tempo (es.: promozioni di mele fuori stagione) sviliscono ulteriormente prodotti già “rovinati” alla fonte dai vari processi (le mele subiscono almeno 25 trattamenti da pesticidi e ormoni)
Alcune aziende della distribuzione usano l’italianità come arma di marketing (v. anche Esselunga, la GD, il tricolore e l’italian sounding), rischiando di fuorviare il consumatore, es.: “il mio pesce è tutto italiano”, il che è ovviamente falso.
Nota: in questo caso trattasi di vere e proprie truffe, presenti in distribuzione e in ristorazione.
La Provenienza di ogni materia prima, la segnalazione di allergeni e la tabella nutrizionale entreranno in vigore sulle etichette dell’UE solo nel 2014.
La Coop svizzera usa questo tipo di etichettatura già da anni.
Nota: : la provenienza accertata dei prodotti anche nella ristorazione -richiesta fatta da Coldiretti- è assolutamente auspicabile.
Bio, lotta integrata e commercio equo e solidale sono pratiche auspicabili.
In questo caso Fair Trade, ente che si occupa della certificazione dei prodotti equo solidali, si occupa della sicurezza delle operaie dagli inquinanti usati nella lavorazione delle rose in Tanzania.
Si tratta di un libro molto interessante, scritto da due medici che esaminano tutte le categorie ed i prodotti ( UNO AD UNO) in commercio in Francia.
In Italia non esistono testi simili.
La denuncia dei casi di pubblicità ingannevole va fatta perché la difesa dell’italianità è un costo molto forte per la comunità, es.: solo a tutela del Grana Padano nel 2011 sono stati spesi 8 mio. di €. Trattasi di fondi SOTTRATTI alla ricerca.
Lanciamo una provocazione: lo zucchero, somministrato in grandi quantità, può essere considerato un inquinante?
L’etichetta della Nutella della Ferrero non ne riporta la %, nonostante sia il primo ingrediente della famosa crema.
L’etichettatura chiara (es. Coop svizzera) sarebbe quindi fondamentale per tutti i beni di largo consumo.
Diamo qualche esempio: la trota del Trentino deve essere allevata in vasche dove le acque provengano esclusivamente “da sorgenti pozzi, fiumi e torrenti della zona delimitata”.
Altro esempio: il 20-25% del pane venduto nella distribuzione proviene dalla Bulgaria e dalla Romania e non si sa cosa ci sia dentro.
Del pane DOC (es.: doc appena varata a Piacenza) si conosce la tracciabilità.
Nota: la pasta è presente nel piatto di 10 mio. di italiani ogni giorno, con un incremento dei consumi del 4,7% sul 2011, proprio perché è molto economica.
Non siamo d’accordo però con Altroconsumo che sembra dire una cosa in copertina (“si mangia bene con 50 centesimi”) e ne dice altre nel testo dell’inchiesta: nel loro panel ci sono anche parecchi prodotti bocciati, contaminati da sporcizia – peli di topo – o proprio cattivi.
Crediamo francamente più nella qualità ad un prezzo ragionevole (non per forza troppo“basso”).
Siamo d’accordo invece con Luigi Veronelli (*) – citato in questa pagina del Corriere – che pensava che i prodotti non dovessero essere sviliti da prezzi troppo bassi sugli scaffali.
Non a caso in Esselunga era stato creato uno spazio che valorizzava l’extra vergine di fascia alta e l’enoteca, con vini di pregio (il cui prezzo a scaffale veniva concordato con il produttore).
(*) Veronelli era stato consulente per l’assortimento dei vini di Esselunga negli anni’80. Una volta terminata la consulenza, avevamo avuto qualche divergenza sul prezzo a scaffale soprattutto dell’olio. Oggi, a distanza di anni, possiamo dire che sui prezzi aveva decisamente ragione lui.
Per quanto riguarda gli inquinanti molto dipenderà dalla Pac (Politica agricola comune) UE, la cui riforma dovrebbe entrare in vigore nel 2014 :
la Commissione europea vorrebbe subordinare il 30% degli aiuti (60 miliardi di €, che dovrebbero scendere a 52, quindi parliamo di più di 10 miliardi di €) al rispetto di alcuni vincoli ambientali.
15 paesi – tra i quali la Germania – non sono d’accordo.
Intervento del 19 MAGGIO 2012 per ISDE c/o Urban Center Monza (MB)
ISDE è l’acronimo internazionale di International Society of Doctors for Environment (denominazione dettata dall’internazionalità dell’associazione, essendo essa accreditata sia presso l’OMS che l’ONU ed avendo quindi sedi in decine di Nazioni nel mondo).
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