Redatto il 5 marzo 2022, aggiornato l’8 novembre 2024
Shein è un operatore cinese del tessile fast fashion (” settore della vendita al dettaglio di abbigliamento che realizza abiti di bassa qualità a prezzi molto ridotti, ma con la veloce disponibilità in negozio di nuove collezioni, continuamente riassortite… Il termine venne usato per la prima volta sul New York Times nel 1989, quando Zara aprì le porte del suo store nella Grande Mela..”)
Non ha negozi, opera solo in rete, con l’e-commerce o negozi pop-up (temporanei), come a Milano attualmente.
E’ davanti ad Amazon in 50 paesi: nel 2021 è stato il sito più consultato al mondo (Le Monde).
Il costo medio di un abito su Shein sarebbe di 7 €.
Solo Primark riuscirebbe a contrastare questo livello di prezzi, riferisce sempre Le Monde.
Shein , nel 2020, ha avuto ricavi per 8,8 miliardi di €, in 220 paesi.
In Francia Shein è il primo luogo di acquisto dei 15-24 enni. E ha sorpassato H&M che ha una quota del 5,7% salendo al 6,7% del mercato.
Dal 2018, nella guerra commerciale con gli USA, ha beneficiato dell’abbuono, da parte del governo cinese, dei diritti doganali nelle spedizioni dagli 800 $ in su.
Negli USA è leader, come si vede sotto (fonte : LSA).
Ma il modello di business di Shein sembra risiedere nella gestione indiretta di piccole fabbriche “inesistenti” per il fisco cinese. I lavoratori delle medesime non avrebbero copertura sociale e le settimane lavorative sarebbero di 70 ore lavorative.
Shein, inoltre, userebbe, per i suoi lavoratori diretti, agenzie interinali, con un turnover del personale molto alto.
Ovviamente altre aziende europee del settore sono sicuramente più “sotto alla lente” dei loro stakeholders (secondo la Treccani gli stakeholders sono: “tutti i soggetti, individui od organizzazioni, attivamente coinvolti in un’iniziativa economica – progetto, azienda, il cui interesse è negativamente o positivamente influenzato dal risultato dell’esecuzione, o dall’andamento, dell’iniziativa e la cui azione o reazione a sua volta influenza le fasi o il completamento di un progetto o il destino di un’organizzazione”).
Le aziende della moda coinvolte sarebbero state :
- Abercrombie & Fitch,
- Adidas,
- Calvin Klein,
- Cerruti 1881,
- Fila,
- Gap,
- H&M,
- Jack & Jones,
- Lacoste,
- Nike,
- The North Face,
- Polo Ralph Lauren,
- Puma,
- Skechers,
- Tommy Hilfiger,
- Uniqlo,
- Victoria’s Secret,
- Zara,
- Zegna.
(*) due milioni di cinesi di religione mussulmana.
Secondo Le Monde del 25 maggio 2022 tra 900’000 e 1,8 milione di uiguri – in tutto – sono stati prigionieri nei campi cinesi, sottoposti a lavori forzati e a sedute di “rieducazione”.
Il tasso di detenzione – fino al 12% degli adulti – supera quelli dello stalinismo.
Sulla difficile situazione delle aziende occidentali in Cina leggi : Adidas in difficoltà i Cina per la questione uigura e questo articolo successivo, sempre su Adidas in Cina.
Sugli uiguri leggi in proposito anche il Post.
Sotto : The Economist ha fatto presente la “shoot to kill policy” della polizia su chi tenta di scappare dai campi di rieducazione, in Cina. Basta che prima spari un colpo in aria come avvertimento, poi può sparare ad altezza uomo e l’ONU ha accusato la Cina di “crimini contro l’umanità” (leggi : Cina : minoranza uigura usata per i lavori forzati nel tessile).
Nei campi ci sono anche ragazzini di 14 anni. E i poliziotti cinesi perseguitano gli uiguri in esilio. Anche coloro che tengono la testa bassa si trovano bersaglio di torture psicologiche.
Il 28 gennaio 2022, H&M ha annunciato che ridurrà la sua impronta ecologica (= emissioni di CO2) del 50%.
Ma il problema della sostenibilità della moda si pone in maniera acuta : da una parte si vogliono prezzi sempre più bassi ed una crescita del fatturato mentre dall’altra gli azionisti e gli stakeholders vorrebbero aziende “etiche, durevoli e sostenibili”.
Questa contraddizione è evidenziata da questi fatti :
- l’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni mondiali di CO2 (terza, dietro ad energia e produzione agroalimentare)
- la produzione tessile fast fashion ha raddoppiato dal 2000 al 2015
- è passata da 2 cicli annui (due collezioni) a 50.
- di contro l’utilizzo per ogni capo è sceso.
- il mercato del riutilizzo è stato moltiplicato solo per tre ma il problema è che il 32% dei rivenditori di abiti usati utilizza i proventi per riacquistare capi nuovi.
- l’80% dei vestiti non vengono riciclati
- la produzione di fibre sintetiche accaparra 1,35% del consumo di petrolio mondiale (+ della Spagna, per fare un esempio)
- il cotone usa il 16% dei pesticidi al mondo
- un kg di vestiti necessita 3 kg. di prodotti chimici
- l’industria tessile preleva ed utilizza il 4% dell’acqua dolce al mondo ogni anno (per un paio di jeans ci vogliono 7’500 litri di acqua)
- il lavaggio dei vestiti butta negli oceani microplastica equivalente a 50 miliardi di bottiglie di plastica Fonte dati: Le Monde.
Una recente ricerca pubblicata dal Financial Times conferma che le emissioni dell’industria della moda sono doppie rispetto a quelle che dovrebbero essere.
E che il riciclo è praticamente inesistente (1%).
Conclusione:
la scelta di Zara ed H&M di puntare sulla fascia premium è decisamente coraggiosa e forse inevitabile, visti i prezzi di Primark e Shein.
Anche se il contesto è difficilissimo.
E non parlo solo della discountizzazione, dovuta all’aggravarsi del contesto politico ed economico, ma al fatto che non esistono leggi che tutelano chi agisce meglio di altri.
O che sanciscono chi agisce in modo riprovevole.
Il Fashion Pact ,firmato da più di 200 marche nel 2019, funziona molto lentamente e solo in parte.
Moda sostenibile?
Tanto Bla, bla ,bla
D’altronde promettere di “salvare il mondo” – come fanno molti capi azienda – è piacevole e da grandi soddisfazioni, mentre parlare solo di obiettivi economici può risultare noioso.
In questo link un esempio da seguire nella moda on demand.
Molto importante l’ultimo segnale di Zara : d’ora in poi il reso dei capi acquistati in rete dovrà essere pagato.
Sotto alcuni dati su Shein di Repubblica Affari Finanza aggiornati a maggio 2022. Su H&M leggi questo aggiornamento.
E , per terminare consiglio la lettura di : Fast, Cheap, and Out of Control: Inside Shein’s Sudden Rise, dove si capisce che nella realtà dei metodi del colosso cinese si sa poco o nulla (ad esempio si sospetta che usi il lavoro forzato degli Uiguri).
Il pop- up store di Shein a Milano ha avuto un’enorme successo : Centinaia in coda a Milano per entrare nel negozio di Shein (aperto solo 3 giorni)
P.S. : lo “stato dell’arte” delle fast fashion viene ribadito dal Financial Times a dicembre 2022 : Fast Fashion : il tessile è il settore i cui gli scarti crescono di più di qualsiasi altro settore.
ma un segnale positivo proviene dai nostri cugini francesi, dove le cui vendite di indumenti e tessile in generale sono sempre più in crisi : Francia , nuove norme per tessile ed economia circolare.
Sta di fatto che Shein è diventato il più grande operatore della fast fashion tessile al mondo : nel 2022 Shein aveva raggiunto i 30 miliardi di € di ricavi (Inditex che, tra i tanti marchi possiede Zara nel 2022 era arrivata a 32, 6 miliardi di €).
Ma nel 2023 il colosso cinese del fast fashion Shein ha superato H&M e di gran lunga anche Zara per fatturato : il gruppo spagnolo ha quasi raggiunto 36 miliardi di € ma Shein è arrivato a a 41, 7 miliardi di €, FT aprile 2024.
Per un aggiornamento leggi :
Shein produce in 3-5 giorni ma come tratta i lavoratori?
Shein prevede di raddoppiare il fatturato da oggi al 2025.
Sul marketing subdolo di Shein leggi questo articolo.
L’UE si prepara a far pagare i rifiuti all’industria tessile. La proposta della Commissione mira a ridurre l’impronta ambientale dei marchi di fast fashion (iniziativa lodevole sulla cui efficacia nutro però qualche dubbio).
Shein, il lato oscuro del re del fast fashion: lavoratori schiavi, tessuti tossici e inquinamento.
E-commerce : come Italia ed Europa hanno “perso il treno”
La Camera francese ha dato il primo via libera a un disegno di legge che introdurrà una tassa ambientale sui capi prodotti dalle aziende di fast fashion e che vieterà alle aziende di fare pubblicità; lo ha fatto perchè, nel 2022, in Francia, sono stati venduti 3,3 miliardi di capi di abbigliamento, 48 per abitante.
Il governo francese ritiene, giustamente, che la fast fashion vada arginata. Poichè se Shein è probabilmente il più grande operatore del tessile nel mondo è anche il più dannoso, per i lavoratori e l’ambiente.
Casa Bianca : guerra commerciale contro i colossi cinesi dell’e-commerce, Temu e Shein
L’entità europea di Shein registra una crescita delle vendite del 68% nel 2023
Sotto: un articolo di Affari e Finanza (Repubblica) dell’8 aprile 2024