La guerra alza del 30% il prezzo di latte e formaggi
08 apr 2022 – 06:46
Gaia Mombelli
Il latte, il formaggio, il burro sono in profonda crisi. La guerra in Ucraina ha dato il colpo finale ad un settore già in grande difficoltà per gli aumenti del periodo Covid. I rincari dunque sono evidenti e si aggirano attorno al 30% per tutto il comparto lattiero caseario.
Crisi causata dalla guerra in Ucraina
Una crisi che non si arresta. Il settore lattiero caseario sta vivendo un periodo di grande difficoltà con i produttori di latte che rimettono in circolo sono sette mucche delle dieci precedenti. Con conseguente minor produzione di latte e ovviamente anche di formaggio.
“E’ una tempesta perfetta”, preciso il presidente di Assolatte Paolo Zanetti, “perché arrivavamo da un periodo pre-guerra con già un grosso rincaro dei prezzi, non solo agricoli, ma anche legati all’energia, al gas, al cartone e alla plastica. La guerra non ha fatto altro che acuire questo grandissimo aumento dei prezzi”.
Gli allevatori scelgono l’unica strada possibile, quella di ridurre il numero di mucche per contenere i costi. E quindi, eliminare quelle che producono meno latte. Il costo del latte per la stalla si aggira attorno ai 50 centesimi al litro (anche se in alcune zone d’Italia si può arrivare anche a 58 centesimi al litro), e il prezzo attualmente pagato al litro non supera i 45 centesimi, con l’eccezione di alcune aziende che pochi giorni fa hanno chiuso un accordo con gli allevatori a 48 centesimi al litro. E’ evidente che in una situazione così, l’allevatore fa i conti e le scelte possibili sono poche.
“In tutto lo scenario internazionale” spiega Zanetti “manca latte. Tutta Europa registra questo fenomeno. Spero che il governo possa instaurare misure a sostegno del comparto zootecnico. Noi che siamo industriali del settore, naturalmente, siamo vicini agli allevatori che hanno dovuto subire rincari enormi dell’energia soprattutto in questo ultimo periodo”.
Aumenti fino al 30%
Aumenti iniziati nel secondo semestre del 2021 che hanno rincarato i prezzi di un 7-8%, fino alla guerra in Ucraina che ha ulteriormente aumentato i costi. “L’incremento dei costi del 20%” spiega Giuseppe Ambrosi Presidente Ambrosi Spa e Presidente European Dairy Association “che sono da sommare agli altri costi sono quelli che noi dobbiamo portare verso il consumo. Se non ci riusciremo il rischio è per la sopravvivenza di tutta la filiera, quindi dell’industria di trasformazione e anche dei produttori di latte. Difficile prevedere se questi aumenti perdureranno nel tempo” prosegue Ambrosi “sicuramente per i prossimi sei mesi saremo colpiti da questi aumenti, poi potrebbe esserci un’attenuazione, ma dipenderà dagli andamenti di questa nuova riorganizzazione geografica del mondo e quindi della redistribuzione delle materie e della provenienza delle materie sia per le fonti energetiche che per l’alimentazione degli animali”.
Costi insostenibili per gli allevatori
La guerra dunque ha dato il colpo di grazia ad un settore già in difficoltà. Dal costo dell’energia, agli imballaggi fino al trasporto.
“Costi” precisa Renato Zaghini Presidente del Consorzio Grana Padano “che fanno letteralmente schizzare alle stelle il costo del latte. Sia perché aumentano il costo dei mangimi, ma anche perché ce n’è dimeno. E quando il prodotto subisce una riduzione i prezzi inevitabilmente salgono. Il latte è aumentato solo nell’ultimo mese un 10%, mentre sulle materie prime con la guerra in Ucraina c’è stato un aumento enorme”.
Il consumatore finale dunque si troverà a pagare circa il 30% in più per i prodotti della filiera, comprese le eccellenze come il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano che sono stati fatti con latte di almeno 9 mesi fa, ma che si sono comunque dovuti adeguare all’attuale costo della materia prima.
“Il formaggio consumato oggi” precisa Zaghini “è vero che è stato fatto con latte pagato al costo di nove o più mesi fa, ma nel frattempo nei magazzini c’è stata la sostituzione e le nuove forme che entrano sono a costi molto più alti di quelle in uscita”.
La situazione all’estero
La situazione non è migliore all’estero. “Siamo tutti sulla stessa barca” spiega Ambrosi “il fenomeno è mondiale, si allarga non solo all’Europa, ma a tutto il mondo. Quindi anche nei grandi produttori come la Nuova Zelanda o gli Stati Uniti c’è stato un fenomeno di grande crescita del costo delle materie prime. Purtroppo non si intravede una riduzione a breve termine. C’è stato un calo di produzione del latte e chiaramente l’incrocio tra il calo di produzione e la domanda crescente ha creato uno scompenso. E questo va a colpire tutta la filiera”.
L’export, unica nota positiva
Unica nota positiva l’export. Per il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano le porte della Russia erano già chiuse dal 2014, in coincidenza con la guerra in Crimea e le relative sanzioni.
“L’export” spiega Ambrosi “continua essere molto buono. Tutti i prodotti alimentari italiani che godono di una grande fiducia da parte dei consumatori europei, ma non solo europei, è in forte crescita anche in questo periodo. Dopo gli anni difficili del Covid, che hanno visto un po’ di rallentamento in alcuni paesi dove il maggior consumo era destinato alla food service e alla ristorazione, nel momento in cui ci sono state le riaperture abbiamo avuto una ripresa importante dei consumi dei nostri prodotti”.
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