A seguito di questa notizia Deliveroo : valore target della quotazione a 10 miliardi di € (leggi anche : Deliveroo va in Borsa e raccoglie 1,16 miliardi da puntare sulla crescita) ho deciso di pubblicare due articoli del Corriere – il primo è sotto – e di Repubblica.
L’articolo più completo, oltre a questi due, su questo argomento è : Le piattaforme europee di food delivery cercano formule alternative alle assunzioni dei lavoratori.
Leggi anche :
Inchiesta sui rider, le piattaforme ricorrono contro la regolarizzazione di 60mila fattorini
Just Eat, firmato il primo contratto dei rider: diventano lavoratori subordinati a 9 euro l’ora
La bolla del cibo a domicilio alla prova del mercato: all’esordio in Borsa Deliveroo perde il 16%
Deliveroo crolla al debutto in Borsa fondi e investitori stanno con i rider
N.B.: i rider – stimati a 60’000 in Italia – sarebbero inquadrati come lavoratori del commercio (*) mentre quelli di Amazon, che hanno scioperato il 22 marzo, secondo Il Sole 24 ore sarebbero inquadrati come lavoratori della logistica. Secondo altre fonti invece, oltre a essere 40’000 ( atempo indeterminato sono 9’500) avrebbero contratti Confcommercio.
Le due situazioni (Delivery e Amazon) sarebbero da mettere a confronto, non foss’altro per come è difficile reperire dati chiari ed univoci sui due comparti.
Le analogie sembra ci siano anche nella scontentezza dei dipendenti del Delivery e di Amazon (sullo sciopero nel mondo dei rider leggi : Ugl, un bastone tra le ruote dei rider). Su Amazon puoi leggere questo ultimo aggiornamento.
(*) così prima della firma del contratto siglato tra sindacati e Just Eat.
Dario di Vico
Articolo da Il Corriere della Sera, Economia&Politica, Nuovi Mercati- 8 marzo 2021
Salviamo il soldato delivery (così il business è sostenibile)
Rider schiavizzati? Analisi di un comparto che vale 3,2 miliardi lordi, tra piattaforme e commercio. Le tutele, i contratti le assunzioni e il conto economico. La quotazione di Deliveroo può cambiare le regole.
Olaf Palme, una delle icone della social democrazia mondiale, equiparava il capitalismo a una pecora: chiunque avesse intenzione di tosarla (a fini di equità sociale, sia chiaro) doveva prima assicurarsi che avesse tanta lana. In caso contrario, infatti, non ci sarebbe stato proprio nulla da redistribuire punto la vecchia metafora di matrice scandinava si attaglia bene per descrivere uno dei casi del new business che fa più discutere, quello del food delivery e dei ciclo-fattorini.
Mutando Palme possiamo dire che senza tenere in vita il soldato Delivery, senza verificare le condizioni per le quali quelle attività riesce a stare in piedi (oggi si usa dire «è sostenibile»), non c’è spazio per rivendicare più diritti per i rider, ma ci sono solo posti di lavoro in meno.
E allora domandiamoci qual è lo stato di salute delle consegne di cibo a domicilio, quali sono i problemi operativi e di conto economico, quali possono essere le strategie di business per creare ulteriore valore e quegli spazi di equa contrattualizzazione della forza lavoro.
E non ultimo, se la valutazione di 10 miliardi di dollari alla quale punta Deliveroo con l’attesissima Ipo alla Borsa di Londra abbia un corrispettivo nell’economia reale e nelle prospettive del settore.

La logistica dell’ultimo miglio
In Italia tutto il business della consegna del cibo vale circa 3,2 miliardi, ma la cifra comprende sia le nuove piattaforme digitali sia i ristoranti o le pizzerie che effettuano le consegne tramite propri dipendenti o congiunti. Sommando i ricavi di Deliveroo, Glovo, Uber Eats, Just Eat e le piattaforme minori, di cui alcune su base cooperativa come a Bologna si arriva grosso modo a un terzo di quella ammontare, ma i pesi si stanno spostando a favore del digitale che cresce a ritmi del 50% l’anno.
Ovviamente l’anno della pandemia ha rafforzato il mercato del food delivery, gli ha conferito una legittimazione sociale, anche perché in quel caso le piattaforme hanno cominciato anche a consegnare a domicilio altre merci ( giornali, libri, medicinali, regali). La presenza dei rider (stimati in 20.000), poi, si è imposta nelle città deserte durante il lockdown e si è creata «una logistica dell’ultimo miglio» una sorta di servizio pubblico equiparabile ai taxi. I ciclofattorini sono rientrati tra quelli che l’ex ministro del lavoro americano, l’economista Robert Reich, ha chiamato gli «essenziali» alla stregua dei lavoratori delle reti tradizionali (elettrica, telecomunicazioni, trasporti).
Nel momento della massima attenzione al distanziamento fisico abbiamo avuto bisogno di qualcuno che quella norma la superasse. Nel momento in cui le nostre società mobili dovevano fermarsi c’è stato bisogno di qualcuno che andasse controvento. E questo ha generato un opinione pubblica pro-rider. ma al tempo stesso fortemente criticata nei confronti delle piattaforme e lo dimostra il ricorrente uso del giudizio di «schiavismo» con il quale una buona parte dei media ha commentato il comunicato stampa con il quale il procuratore della Repubblica di Milano, Francesco Greco, ha reso noto il 24 Febbraio i risultati di un’indagine dei Carabinieri sulle condizioni di lavoro e sulla correttezza fiscale.

Osserva Carlo Alberto Carnevale-Maffè, docente di strategie aziendali alla Sda Bocconi, «negli ultimi giudizi sui datori di lavoro spesso si dimentica come le piattaforme abbiano contribuito non solo a dare lavoro e Rider ma anche a tenere in piedi in un numero altissimo di pizzerie e ristoranti dando loro uno sbocco di mercato. Come ha fatto Amazon con le Pmi manufatturiere». I vari Deliveroo o Glovo sono stati capaci sia di relazionarsi alle esigenze dei fornitori sia di conquistare una nuova domanda ponendo le basi di un business tutt’altro che estemporaneo, come pure era stato rubricato in una primissima fase.
Il conto economico delle piattaforme va suddiviso tra pagamento del ristorante, retribuzione dei rider, commissioni per le carte di credito e ovviamente margine di guadagno. Non ci sono dati ufficiali che ci aiutino in questo lavoro, sappiamo però alcune cose: il ristorante paga mediamente una commissione del 20%, le piattaforme hanno chiuso il 2019 in perdita, il loro margine si situa attorno al 10% e quindi la sostenibilità del business si basa tutta in quella che Daniele Contini, country manager di Just Eat, chiama «l’eccellenza delle operations». In sostanza si raggiunge il punto di pareggio se aumentano i volumi e se l’incremento avviene simultaneamente in più città (servono 2-3 anni per ciascuna località), maggiore poi è la concentrazione territoriale delle consegne meglio va il business.
Ovviamente non tutte le piattaforme adottano lo stesso modello, Just Eat ad esempio non obbliga i fornitori a servirsi del proprio sistema di consegna, il 75% dei fornitori si limita a usufruire del servizio digitale di prenotazione.
Differente è anche il rapporto contrattuale con i rider: Just Eat – che ne ha di meno – ha deciso di assumerli tutti ed assicurare loro una paga oraria lorda di 7,50 euro più un incentivo di 0,25 a consegna più una serie di tutele che comprendano Tfr, tredicesima, ferie, malattie e assicurazione. Il costo del lavoro finale si aggira sui 9 euro l’ora, più il bonus consegna. le piattaforme che aderiscono ad Assodelivery adottano invece il contratto sottoscritto con l’Ugl – contestato da alcune associazioni di base- che prevede alla fine un costo aziendale di 10 euro e un netto per il rider di almeno 8, senza però le tutele aggiuntive di cui sopra.
Sulla base di questi dati, ancora molto frammentari, si configurerebbe uno schema di questo tipo: il rider Just Eat ha più tutele e meno cash, il rider Assodelivery ha più cash e zero tutele.

L’evoluzione
Ma cosa rende impossibile che ci si converga su un unico modello contrattuale?
I big di Assodelivery da Deliveroo a Glovo, non hanno ora nessuna intenzione di passare dal lavoro autonomo a quello dipendente, fanno trapelare che non è un problema di conto economico, ma di flessibilità organizzativa alla quale non possono rinunciare.
Non la pensa così Antonio Aloisi, docente di diritto del lavoro a Madrid e autore del libro «il tuo capo è un algoritmo»: «Più il business si consolida, più avrà bisogno di fattorini professionalizzati. Lo richiedono gli stessi consumatori che diventano più esigenti e comunque la qualità poi viene riconosciuta dal mercato. Quindi non credo a chi dice che l’assunzione è incompatibile con il conto economico, trovo in questa tesi un eccesso di paternalismo nei confronti delle piattaforme». «E comunque le valutazioni che circolano sul’Iipo di Deliveroo rappresentano una novità importante e di cui tenere conto».
Chi confida molto sull’evoluzione del modello di business a prescindere dalla Borsa, è Carnevale-Maffè che vede molto vicino un secondo step della consegna del cibo capace di mettere a frutto la lezione di Amazon: «i veri margini di guadagno si fanno nel business-to-business nel rapporto con i ristoratori. A patto però di dar loro un servizio sempre ricco, ben oltre il mero dlivery».
Il valore sta nei dati che le piattaforme possono girare ai ristoranti indicando loro i gusti dei consumatori, gli orari migliori, la localizzazione suddivisa per fasce anagrafiche, persino la corrispondenza tra singoli piatti ed eventi televisivi. «Un genere di informazioni che vale oro e fa la differenza tra vincere o perdere. Una fornitura di consulenza».
Quanto ai rider Carnevale-Maffè pensa che le piattaforme li assumeranno quando si saranno pagati i costi delle infrastrutture che hanno messo in piedi. E anche in questo caso il modello di business potrà evolvere in altre direzioni. «Penso a modelli per abbonamento come fa Cortilia. E poi via via il fattorino diventerà un cameriere o un operatore di catering perché il consumatore finale vorrà di più dalle piattaforme. Comprerà non un piatto, ma un’esperienza e quindi sarà necessaria anche una qualità migliore degli intermediari».
Pubblicato il 23 marzo e aggiornato il 2 Aprile 2021.



