Gran parte di quanto scritto nel libro Le ossa dei Caprotti era già stato detto nel 2013, con mio padre in vita. Inoltre abbiamo fatto anche tante cose belle, insieme.
Esselunga, la verità del figlio,
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di Luca Piana
note e documenti di Giuseppe Caprotti
Per la prima volta parla Giuseppe Caprotti, erede del patron Bernardo: le umiliazioni in pubblico, i trucchi per dargli la colpa delle operazioni sbagliate, il processo ‘staliniano’ e il licenziamento finale
(04 giugno 2013)
Ho deciso di raccontare la verità su mio padre perché sono stufo di essere descritto come uno stupido, forse anche un po’ ladro… Giuseppe Caprotti parla con voce tranquilla. Mostra qualche imbarazzo solo quando deve entrare nei dettagli più personali del suo duello con il papà Bernardo, proprietario dei supermercati Esselunga, uno degli uomini più ricchi d’Italia e una specie di leggenda dell’imprenditoria nazionale.
E’ la prima volta che Giuseppe, 52 anni, accetta un’intervista da quando, dodici mesi fa, è iniziato lo scontro che ha portato la sua famiglia di tribunale. Di più: finora non aveva mai rivelato la sua versione dei fatti sulla clamorosa lite con il padre che, nel 2004, lo allontanò dall’impresa di famiglia, di cui era l’erede designato. La posta in palio della battaglia legale è il controllo di un colosso con 20 mila dipendenti e un giro d’affari da 6,5 miliardi di euro. Ma nel racconto di Giuseppe questo è solo l’atto finale di un rapporto segnato da vertiginosi alti e bassi. Dalle lettere traboccanti d’affetto che Bernardo scriveva al figlio in villeggiatura fino alla perizia psichiatrica che gli fece fare a sorpresa, quando muoveva i primi passi in azienda. «Quando tornai in ufficio, il direttore del personale mi chiese di consegnargli il referto. Rifiutai. Ma le pare, confesso qualche difficoltà d’inserimento e mio padre mi fa mandare dallo psichiatra?», ricorda Giuseppe.
Caprotti senior un personaggio lo è certamente. A 87 anni d’età, va in ufficio tutte le mattine, ama pranzare in mensa con gli impiegati ma fa fuoco e fiamme contro i sindacati. E’ considerato una specie di campione dell’alta borghesia brianzola, capace di regalare alla Pinacoteca Ambrosiana un dipinto di scuola leonardesca acquistato all’asta da Sotheby’s e di arruolare il regista Giuseppe Tornatore per girare un film sull’Esselunga, in cui lui stesso recita vestito da fornaio. Ma è noto in tutta Italia soprattutto per gli attacchi ai concorrenti delle Coop rosse, sfidati con un libro – “Falce & Carrello” – regalato a migliaia di persone e promosso con ogni mezzo tra gli scaffali dei suoi 141 supermercati.
L’antefatto della dynasty dei Caprotti risale al 1996. Con l’obiettivo di preparare per tempo ogni questione legata alla successione, Bernardo gira le quote dell’azienda al primogenito Giuseppe e alle sorelle Violetta e Marina Sylvia, che attraverso lo schermo di una fiduciaria diventano i proprietari dell’Esselunga. Si tiene l’usufrutto sulla metà delle azioni e il diritto di voto nell’assemblea della società, in modo da continuare a comandare. Passano quindici anni, segnati dai fatti che vedremo. Poi il blitz: nel febbraio 2011 Bernardo si riprende le azioni di Giuseppe e Violetta, i due figli nati dal primo matrimonio. Non si preoccupa di avvisarli: i due fratelli se ne accorgono solo dopo qualche mese, quando la fiduciaria a cui erano intestati i titoli smette di mandar loro ogni comunicazione. Bernardo non ha rivelato i motivi del suo gesto nemmeno nei documenti dell’arbitrato che ne è seguito. Nei fatti è come se l’intestazione ai primi due figli fosse sempre stata fittizia, una circostanza che rischia di causare un colossale procedimento fiscale. «Anche per questa ragione per noi è fondamentale mettere in chiaro le responsabilità di tutta questa vicenda», dice Giuseppe, spiegando la decisione sua e della sorella Violetta di fare causa al padre.
QUEI POMERIGGI CON MINA Giuseppe parte da una premessa: «A mio padre sono profondamente riconoscente, per tutto quanto ci ha dato e per le grandi soddisfazioni dei diciannove anni che ho passato in Esselunga». A dispetto del benessere di una famiglia di imprenditori da generazioni, i suoi primi ricordi non sono però sempre rosei. Bernardo e la mamma di Giuseppe si separano quando lui ha appena due anni. Con Violetta, nata da poco, viene affidato al papà e cresce accudito dalle bambinaie. «Anche se è stato un padre assente, sempre preso dal lavoro, ha saputo regalarci momenti di grande gioia. Ricordo i viaggi che facevamo d’estate. E le domeniche passate ad ascoltare Mina, Jannacci, Sinatra», racconta. Casa Caprotti è però anche un luogo di liti, i cui contraccolpi non è facile dimenticare. I protagonisti sono Bernardo, i fratelli Guido e Claudio e la loro mamma, Marianne, i cui dissidi sono stati raccontati da “l’Espresso” nel numero del 20 dicembre 2012:«Durante un litigio Bernardo iniziò a spingere nonna Marianne per le spalle e la buttò letteralmente fuori casa, nonostante lei cercasse di resistere. Il clima diventò pesantissimo e lei fu costretta a trasferirsi da alcuni conoscenti».
Certificato medico del dottor Angelo Beretta che curò Marianne Caprotti dalle “percosse subite da mio figlio Bernardo Caprotti”.
UN MOTIVO PER ODIARMI Man mano che si avvicina la maggiore età, le attenzioni di Bernardo aumentano. Al figlio quindicenne scrive: «Ti voglio bene e sono qui per aiutarti, come tu aiuterai me quando sarò vecchio e tu sarai più gagliardo di me». Il momento sembra arrivare quando Giuseppe, laureato in storia alla Sorbona di Parigi, entra nel regno del padre, l’azienda. «Ricordo discussioni infinite per difendere le mie idee. A volte i fatti hanno dato ragione a me, in altre occasioni ci aveva visto bene lui», rievoca Giuseppe. Pian piano il rapporto fra i due si fa sempre più difficile. Il figlio sale nelle gerarchie aziendali ma, racconta, quasi smettono di parlare delle questioni importanti. Comunicano soprattutto per lettera. Bernardo gli riconosce diversi meriti: in una circolare interna del maggio 2001 spiega che del successo dei nuovi megastore cittadini «va dato merito al Dottor Giuseppe», che sull’esempio americano ha saputo puntare sui prodotti non alimentari e avviato la scommessa del biologico. Il “Dottor Giuseppe”, però, riceve lavate di capo da ragazzino imberbe. Il 13 marzo 2001 scrive nel modulo utilizzato da tutti per segnalare a Bernardo gli spostamenti del giorno successivo che parteciperà a un convegno sull’industria del “grocery”. Neanche andasse a giocare a bocce. Bernardo gli risponde vergando a penna: «Questa è bella! Vorrei vedere il materiale: invito (a pagamento?), interventi di chi, presenze, relazione». Vedi Esselunga impegni Giuseppe Caprotti 14 marzo 2001 Ancora oggi, Giuseppe riesce a spiegare le reazioni di suo padre solo con una citazione dalle “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar: «Dice più o meno così: “Eravamo troppo diversi perché potesse trovare in me quel continuatore docile che avrebbe usato i suoi stessi metodi e fatto i suoi stessi errori. Ma era obbligato ad accettarmi. Ed era un’eccellente ragione per odiarmi”».
Giuseppe Caprotti
SI PRENDA UNA VACANZA La svolta risale al 9 gennaio 2004. Giuseppe è amministratore delegato da un anno e mezzo. Ha cambiato alcuni manager. Ha aperto ai sindacati. Ha commesso l’errore di rilasciare un’intervista a un settimanale, che l’ha chiamato “Mr Esselunga”. La mattina viene convocata una riunione dei dirigenti nel quartier generale, alle porte di Milano. All’esterno sono parcheggiate quattro Mercedes nere. Ma la riunione non ci sarà: è solo una scusa per assicurarsi che tutti siano presenti. Bernardo chiama Giuseppe e gli comunica che tre dirigenti sono stati licenziati. Il motivo? Tutto è partito sei mesi prima con un report interno di cinque pagine, scritto da un manager della vecchia guardia, ricco di allusioni ma povero di riscontri oggettivi, dove vengono ventilati possibili favoritismi nei confronti di alcuni fornitori. Dalle finestre tutti osservano i tre fatti salire sulle auto nere, uno dopo l’altro. La quarta Mercedes resta vuota. Una scena da processo staliniano. Il giorno dopo Giuseppe va dal padre. «Gli chiedo se l’ultima automobile era per me. Mi risponde, ridendo: “Non ancora”. Dopo qualche settimana la sua segretaria mi suggerisce di prendermi una vacanza. Al rientro vengo parcheggiato in una società esterna. Continuo a chiedere chiarimenti ma non mi viene mai fornita alcuna prova di comportamenti disonesti da parte dei tre dirigenti. Poco dopo leggo sui giornali che mi ha tolto tutte le deleghe. Da allora non ho più messo piede in azienda», racconta.
Il primo articolo di Finanza e Mercati che mi annunciava la revoca delle mie deleghe, il 21 agosto 2004.
La società esterna in cui ero “parcheggiato” era ESD ITALIA della quale rimarrò Consigliere Delegato fino alla primavera del 2005.
IL RISCATTO DEL CAPOBANDA Incapace e un po’ ladro, è dunque la sentenza – immotivata e inappellabile – su Giuseppe, che nel tempo viene ripetuta più volte. In una nota interna dell’ottobre 2005 Bernardo parla testualmente di una «banda del Dottor Giuseppe».
E in “Falce& Carrello” scrive che sotto la gestione del figlio aveva trovato spazio un «ciarpame manageriale» di cui per fortuna «fu facile liberarsi». E’ da allora che Giuseppe si rimprovera un errore: «La sua opera di demolizione psicologica mi ha paralizzato per alcuni anni. Non sono stato abbastanza forte da troncare i rapporti e ho sbagliato ad accettare di continuare a ricevere lo stipendio». Nel frattempo, però, ha condotto un minuzioso lavoro di ricostruzione per capire i motivi della rottura. Ha steso un elenco con le 158 persone, dai manager alle semplici segretarie, che dopo di lui sono stati allontanati dagli uffici: «Alcuni erano in Esselunga da 37 anni. Ci sono il suo avvocato di sempre e il suo braccio destro fin dagli esordi, Paolo De Gennis. Non crede che siamo un po’ troppi per una banda di ladri che operava nell’ombra?», sorride. Una soddisfazione è stata ricevere una raccomandata dall’autore del report interno all’origine dei primi tre licenziamenti, un dirigente di nome Gianni Lembo. Poco dopo aver cambiato impiego, ha scritto a Giuseppe di aver fatto presente al padre che «quando era lei a dirigerla, l’area commerciale veniva gestita secondo criteri molto più precisi e puntuali». Non è l’unico documento con cui si presenta all’intervista. Per corroborare la sua verità, ha raccolto dai cassetti di famiglia atti, lettere, persino gli appunti dello zio Guido, che «per primo, con l’amico Marco Brunelli e Bernardo, ha avuto l’idea di creare l’Esselunga e che purtroppo è scomparso da poco. Già trent’anni fa zio Guido biasimava l’abitudine di Bernardo di non rispondere alle richieste di spiegazioni e di dividere i familiari in clan»,racconta, illustrando le memorabilia di famiglia.
LA STRAFOTTENZA DI ZUNINO A Giuseppe interessano soprattutto le prove di quello che lui chiama «il putsch del 2004». Bernardo si è vantato più volte di aver rimesso in sesto l’azienda dopo la gestione del figlio. I bilanci dell’Esselunga in quegli anni per Giuseppe fanno però nascere vari dubbi. Il primo riguarda i premi promozionali che i fornitori pagano a seconda dei volumi di vendita raggiunti dai loro prodotti. «Ci sono 36,4 milioni di euro di premi che sono stati contabilizzati nel 2004 ma che, in realtà, erano relativi al 2003»,spiega. Il secondo dubbio riguarda un’altra voce che ha fatto impennare i conti del 2004 – un provento straordinario di 23,9 milioni da “partecipazioni in imprese controllate” – sulla quale ha chiesto invano spiegazioni. «Mio padre mi ha accusato, sono parole sue, di aver “ammaccato i bilanci”. In realtà, i sessanta milioni di queste due voci hanno l’effetto di migliorare i conti del 2004 e di affossare quelli del 2003», analizza Giuseppe.
La gestione straordinaria e finanziaria ha dato una differenza totale a sfavore del 2003 rispetto al 2004 di 63,1 mio di € (v. chart seguente).
I revisori hanno detto che si è trattato di operazioni assolutamente legali.
Bernardo ha inoltre sempre detto che io ero responabile di operazioni sui derivati ma da questo documento si evince che la realtà è un’altra:
“Tra il gennaio ’98 e l’ottobre 2002 sono state poste in essere da Esselunga… 12 operazioni su derivati finanziari per nominali €560 m.”
Peccato che io fossi diventato a.d. solo nella primavera del 2002, prima ero direttore operativo, senza nessuna delega sulla finanza.
Carlo Salza all’epoca del memo era direttore finanziario e amministrativo di Esselunga. Ora ne è l’a.d.. Qui sotto a Madrid, quando sembrava si chiudesse l’accordo con Mercadona.
Le sorprese sono numerose. I documenti inediti rivelano che dal 1998 il gruppo aveva sottoscritto contratti derivati per 560 milioni di euro, su cui nel 2002 iniziava a registrare ingenti perdite. Spiega Giuseppe: «Erano tutte operazioni effettuate prima che diventassi amministratore delegato e delle quali io e Violetta, che pure eravamo in consiglio, non abbiamo mai saputo nulla. Possiamo solo presumere che fossero avallate da Bernardo e dal direttore finanziario Carlo Alberto Corte Rappis».
Per inciso: lo stesso dirigente che, con Caprotti senior, qualche anno prima aveva patteggiato una pena per una storia di tangenti alla Guardia di Finanza. Un altro incartamento documenta come Bernardo avesse prestato 130 milioni di euro a Luigi Zunino, l’immobiliarista che aveva il compito di muoversi nella giungla delle approvazioni per costruire i nuovi supermercati. Lo stesso Bernardo, a un certo punto, temeva che Zunino potesse fallire, lasciandolo in un mare di guai. E, in un memorandum riservato datato 19 marzo 2003, si lamentava dell’atteggiamento «strafottente» dell’immobiliarista:«Non ho dormito tre mesi nel timore di aver esposto l’azienda a un colossale dissesto».
Sulla “vicenda Zunino” vedi anche: Fulvio Pierangelini e i ravioli di Esselunga
VOLEVA VENDERE Non c’era nessun furto, dunque. E nessuno, neppure Bernardo, è esente da errori quando si gestisce un colosso. Ma quel che colpisce è il tratto umano. Giuseppe ricorda un pranzo del dicembre 2003, pochi giorni prima delle Mercedes nere: «Ci troviamo per festeggiare il mio compleanno. Lui parla tutto il tempo, senza dirmi nulla di quanto sta preparando. Quando rientriamo in ufficio, cominciamo a discutere. Alza la voce, come fa sempre perché tutti lo sentano, e grida: “Se non esci da qui, chiamo le guardie”. Gli rispondo che dovrebbe vergognarsi». Anche per i fatti successivi servirebbe un romanzo. Giuseppe ha scoperto che nel 2007 Bernardo ha donato un milione di euro a testa ai dirigenti che avevano avuto il compito di licenziare i primi tre manager. Soldi prelevati dai suoi conti personali, non da quelli dell’azienda. Di recente, poi, è entrato in contatto con un fornitore che gli ha raccontato come un emissario dell’Esselunga, all’epoca del putsch, gli avesse offerto di aumentare i suoi contratti in cambio di una bugia: doveva raccontare di essere stato vittima di un tentativo di estorsione da parte degli uomini di Giuseppe, che volevano fare la cresta sull’acquisto di verdure.
Un passaggio decisivo è la sfiorata vendita dell’Esselunga al gruppo americano Wal-Mart, nel 2005. «In pubblico Bernardo diceva sempre che non avrebbe venduto mai. Ma quell’anno mi ha fatto sottoscrivere un accordo fiduciario, depositato dal notaio, per procedere alla cessione dell’azienda: prevedeva una donazione di una parte delle mie azioni, i corrispettivi che ciascuno avrebbe ricevuto dalla vendita, il conferimento degli immobili in un trust in favore dei miei tre figli e una procura per dare a lui modo di concludere», racconta Giuseppe. Proprio su questo documento saltò tutto: «Io ero disponibile a una procura che servisse esclusivamente a vendere, lui insisteva per un mandato più generale che gli avrebbe dato modo di fare qualsiasi cosa, anche accedere al mio conto in banca». Nelle risposte alle lettere di spiegazioni che Giuseppe gli scrive, il padre a volte è conciliante. A volte picchia duro. Il 9 dicembre 2010 dice al figlio che vorrebbe sue notizie: «Non so se la tua avversione nei miei riguardi te lo impedisca. Penso che questa situazione sia per te pesante, forse non quanto è per me». Cinque mesi più tardi, l’11 aprile 2011, dimentica di averlo chiamato “capobanda”: «Io non ho mai sentito dire che tu sei un disonesto. Certamente queste dicerie sono una conseguenza della tua propaganda». In questa ultima lettera ci sono alcuni riferimenti molto personali. Manca una notizia fondamentale: due mesi prima Bernardo si è ripreso le quote dell’Esselunga di Giuseppe e Violetta. Una mossa per la quale il figlio ancora non trova un perché: «Ora però so che non posso vantare l’esclusiva del trattamento che ho ricevuto. Lui vuole essere e restare onnipotente».
Da notare che, prima dell’offerta di Walmart, avevo fatto una mia proposta personale di acquisto, a ottobre 2004.
La segretaria di mio padre, che mi disse di prendermi una vacanza, era Germana Chiodi.
Per capire meglio la situazione consigliamo di leggere quanto scritto da Dominique Bennet, che ha lavorato a lungo per me in Esselunga o quanto scritto dal nostro ex responsabile dell’ufficio legale, dottor Matteo Cimenti.
Per questo articolo ho ricevuto una querela, poi ritirata all’ultimo, da Bernardo Caprotti : essa riguardava le mie affermazioni sulla nonna Marianne- per le quali avevo 5 testimoni a favore – non i conti dell’azienda ne i derivati. Essa sembrò assolutamente strumentale poichè delle botte alla nonna se ne parlava già, sei mesi prima, in un articolo de l’Espresso, sul quale però Bernardo Caprotti non aveva battuto ciglio.
Per completare il quadro va saputo che ho anche subito, per svariati anni, atti persecutori. In proposito si può leggere anche : Il Corriere della Sera, Il Cittadino,Giuseppe Caprotti querela il giornalista Stefano Lorenzetto, Due stonature nelle vicende dei Caprotti, Giuseppe Caprotti vittima di stalking. I gelsi incendiati, Cronaca di una campagna di stampa infamante.
Nel 2003 vennero interpellati dal Cirm di Nicola Piepoli 1’711 dipendenti che ne rappresentavano 11’569
Nel 2004, come per sottolineare la differenza gestionale tra padre e figlio veniva evidenziata questa vicenda : Esselunga, torna il vecchio Caprotti: licenziati tre delegati (sindacali).
(*) anche se la CGIL mi cercò dopo il 2004 per capire se sarei potuto rientrare in azienda.
“Eravamo troppo diversi perché potesse trovare in me quel continuatore docile, che avrebbe usato i suoi stessi metodi, che avrebbe fatto persino i suoi stessi errori e che la gran parte delle persone che hanno esercitato un’autorità assoluta cerca disperatamente …
Ma il mondo intorno a lui era vuoto di uomini di Stato: ero il solo che potesse prendere senza mancare ai suoi doveri di buon funzionario e di grande principe: quel capo abituato a valutare stati di servizio era più o meno obbligato ad accettarmi. E quella era un’eccellente ragione per odiarmi.”
Brano tratto da le “Mémoires d’Hadrien” di Marguerite Yourcenar , sul passaggio del comando dall’imperatore Traiano ad Adriano, suo figlio adottivo.
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